Cartoline da Lisbona (parte I)

L’idea di andare a Lisbona c’è venuta mentre vedevamo la puntata di “date da mangiare a Phil” ambientata nella città portoghese. La serie di Netflix è un insieme di documentari che permette di scoprire alcune città del mondo da uno dei punti di vista più belli che ci possano essere quando si viaggia: il cibo. E Lisbona è sembrata immediatamente una città piena di colori, profumi, gusti come poche altre. Una scelta di pancia, quindi, in tutti i sensi.

Così, un paio di mesi e di biglietti low cost dopo, siamo atterrati a Lisbona, in una calda sera di ottobre. Devo ammettere che la prima impressione sulla città è stata, come dire, diversa dalle mie aspettative. Certo, di Lisbona sapevo pressoché nulla oltre a quanto intravisto nella puntata e mentre facevamo l’itinerario.

Per descrivere la prima impressione (che poi in realtà mi ha accompagnato per tutto il viaggio) potrei parafrasare la descrizione che una volta mi diedero di Messina: una nobile oramai decaduta. In nessun altro posto come a Lisbona si vede il fasto di tempi andati, di un immenso impero che fu, assieme alla povertà ed incuranza, ai segni della crisi. Ok, descritto così sembra un giudizio pessimo e assoluto, ma in realtà tutte queste contraddizioni danno, secondo me, un fascino unico alla città .
A proposito di fascino, una delle cose che più mi ha colpito e meravigliato è stata l’Elevador de Santa Justa, un mirabolante prodigio dell’ingegneria del XIX secolo che sembra uscito direttamente da qualche racconto Steampunk.
E visto che parlavo di antitesi, dall’altro lato (anche fisicamente, visto che si trova sulla sponda opposta del fiume) c’è la vecchia zona industriale oramai abbandonata e piena di bellissimi graffiti e colori.

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